Feticismo: l’attrazione esclusiva
Il tema delle perversioni ed, in particolare, del feticismo ha sempre rappresentato per me motivo di interesse oltre che di curiosità. Che un uomo – la donna molto meno – “scelga” un oggetto inanimato come stimolo erotico sostituendolo alla donna ha del misterioso.
Ed è a questo mistero che molti autori, ormai da più di un secolo, hanno dedicato pagine di teorizzazioni più o meno plausibili, scritti di proposizioni cliniche per il loro trattamento non sempre consistenti. Con questa presentazione proverò a lanciare un sasso nello stagno della curiosità e della scoperta di questa particolare espressione della sessualità.
Storicamente la perversione sessuale e stata indicata come una patologia propria dei criminali, una condotta sessuale frequente nei comportamenti antisociali. E’ stata inglobata in categorie diagnostiche generali come il narcisismo o il disturbo borderline fino ad essere etichettata come parafilia (amore per cose anomale). Questo termine sottolinea il fatto che la deviazione sessuale dipenda dall’oggetto da cui il soggetto è attratto. Oggi non viene più descritta come conseguenza di deficit ereditari o un prodotto di degenerazione morale del soggetto ma viene letta come esito reversibile del contatto tra la biologia della persona e l’ambiente (Simonelli et al., 2004).
Dobbiamo riconoscere al criminilogo e psichiatra tedesco Krafft-Ebing il merito di avere spiegato, già alla fine dell’800 nella sua opera Psychopathia Sexualis, quali caratteristiche comportamentali mette in atto il perverso e, nel nostro caso specifico, il feticista. La descrizione precisa di questa particolare perversione poco si discosta da quanto osservato oggi e che possiamo descrivere come segue. Nel feticismo l’eccitamento sessuale è determinato principalmente, o esclusivamente, da un oggetto inanimato o da una parte del corpo non sessuale. Senza questo oggetto è difficile, se non impossibile, raggiungere un adeguato piacere sessuale, in qualsiasi situazione erotica; esso rappresenta l’elemento unico ed indispensabile che consente il raggiungimento del piacere sessuale.
Tra questi oggetti figurano mutandine, reggiseni, calze, reggicalze, scarpe, stivali, guanti, ecc. (Masters e Johnson, 1987). I feticisti possono impegnarsi in rapporti sessuali con il partner unicamente se possono vedere, annusare o toccare un feticcio o, comunque, dedicarsi ad una fantasia che contempli l’uso di questi oggetti inanimati; alcuni chiedono che il partner li indossi o li mostri; per altri è sufficiante la fantasia di un feticcio per l’eccitazione sessuale e l’orgasmo attraverso la masturbazione.
Il feticcio è comunque immutabile e specifico. Il feticista è portato a guardare ma non a vedere. Se messo al confronto con l’inevitabile verità dell’anatomia femminile, esso non sa cosa farsene. Il feticista non solo distoglie lo sguardo per evitare l’insopportabile realtà dei genitali femminili ma prova un bisogno compulsivo di concentrare l’attenzione su qualche rassicurante percezione periferica (Arlow, 1994, p. 61)
Il feticista, ma in generale il perverso, è colui che non desidera l’altro, ma sé stesso; non si converte all’altro, ma si serve dell’altro per realizzare il proprio bisogno. Aspira a raggiungere uno stato di completa mescolanza, dove viene abolito ogni concetto di organizzazione, separazione, struttura e dove viene annullato l’universo delle differenze da cui parte ciascun principio d’ordine.
Per Stoller un soggetto potrebbe essere perverso qualora l’atto erotico avesse la funzione di eludere una relazione emotivamente intima e a lungo termine con un’altra persona. Il feticcio non ha la funzione di sostituire la persona reale che lo ha posseduto, quanto piuttosto esso è preferito al suo proprietario in quanto è sicuro, muto, liberamente manipolabile, quieto e può essere manomesso o distrutto senza incorrere in alcuna conseguenza (Stoller, 1978).
Per la Kaplan nel feticismo un dettaglio relativamente inoffensivo (il feticcio) viene utilizzato per simbolizzare l’intera narrazione degli eventi traumatici dell’infanzia che hanno portato alla perversione. Il feticcio è il simbolo complesso che rivela e allo stesso tempo nasconde tutti i desideri proibiti e pericolosi, tutte le sconfitte, gli abbandoni, le angosce e i terrori dell’infanzia (Kaplan, 1991 [1992] p. 234).
La persona feticista disumanizza l’altro nella relazione riducendolo a qualcosa che lo sostituisce e che, sebbene parzialmente, lo rappresenta. Non c’è spazio per il piacere dell’altro che deve essere controllato, tenuto a debita distanza perchè temuto. La costruzione di sé che si profila rimanda ad un forte timore di non essere all’altezza di una relazione amorevole, sin da bambino.
Il feticcio è la parte dell’altro di cui ci si può fidare, che si può controllare, che non abbandonerà. E’ il modo per stare in una relazione senza coinvolgersi troppo e correre il rischio di soffrire se abbandonati. Permette di evitare un impegno relazionale troppo minaccioso. Interagire significherebbe essere dell’altro che mette paura. Il feticcio permette, invece, di stare con l’altro riducendone la complessità e permettendone un controllo assoluto in termini affettivi ed esperienziali.
Immagine: Cheeky di Julia C. R. Gray